Lo smart working ha cambiato il lavoro: perchè la definizione “south working”?
Nel 2020, lo smart working ha cambiato il mondo del lavoro per la maggior parte di noi e, poco dopo la diffusione dello smart working, in Italia c’è stata un’altra definizione che ha catturato l’attenzione e descritto le vicende del mercato del lavoro: “south working”.
La definizione di “south working” (che vuole intendere il lavorare dal Sud) è arrivata da un gruppo di giovani di Palermo, autori del progetto del Palermo hub di Global Shapers
L’obiettivo originario era studiare il fenomeno del lavoro agile svolto in un luogo diverso da quello del datore di lavoro.
Focus principale è stato il trasferimento/la fuga dei lavoratori e degli studenti fuori sede, rientrati subito dopo la riapertura con la fase 3 nei luoghi di origine.
Smart working & south working: alcuni dati
La tendenza non è solo italiana: secondo il The Economist sarà difficile tornare all’era BC (Before Coronavirus) del lavoro, perché i datori risparmiano sui costi e molti lavoratori apprezzano l’equilibrio tra vita privata ed occupazione: il work life balance.
Secondo il National Bureau of Economic Research americano, lo smart working cambierà il futuro del 40% delle imprese, mentre l’Ansa ha scritto che questa modalità di lavoro “da concessione di qualche azienda smart è diventata l’unico modo per far sopravvivere molte imprese in epoca di lockdown”.
L’idea è quella di mettere in discussione le logiche che hanno portato le menti migliori a dover gravitare attorno a pochi grandi agglomerati urbani, costringendo le stesse aziende a limitare il reclutamento a determinate aree geografiche, vicine alla propria sede.
Parliamo di città congestionate, dove inevitabilmente il prezzo delle abitazioni è stellare e buona parte di quel che si guadagna viene speso per arrivare a fine mese.
Secondo gli ultimi dati Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), in 15 anni, 2 milioni di giovani laureati e lavoratori si sono trasferiti dal Mezzogiorno al nord Italia, con un trend crescente: se nel 2001 i laureati meridionali che emigravano erano il 10,7%, nel 2011 la percentuale è più che raddoppiata, raggiungendo il 25%. Un capitale umano che, con le soluzioni per il lavoro a distanza in una valigia, ora potrebbe rientrare.
Il fenomeno non riguarda solo le aree del Mezzogiorno. Si pensi a realtà lacustri o di montagna o alle tante aree interne soggette, negli anni, ad un progressivo spopolamento.
Cosa accadrà al mercato del lavoro, il giorno in cui il virus sarà debellato?
Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è che la vera innovazione non è dove lavori, ma come lo fai; una nuova consapevolezza a cui si sono arresi, anche i più scettici, che ha portato ad un cambio di prospettiva: la città non è più il fulcro delle nostre attività.
Cosa dovrebbero fare, dunque, questi luoghi che erano prima marginali e sono passati improvvisamente in vantaggio, rispetto alle grandi città svuotate dalla pandemia?
La “connessione veloce”, ovviamente, è un requisito tecnico fondamentale. Ed è una cosa che in Italia, soprattutto nei piccoli comuni, non è affatto garantita.
Per convincere chi è andato via a restare, lavorando a distanza, non basterà la retorica sul contrasto alla fuga dei cervelli: serviranno infrastrutture (soprattutto tecnologiche), scuole, ospedali ed occasioni di socialità.
Il rientro di lavoratori altamente qualificati e con stipendi medio-alti significa, nel breve termine, iniettare liquidità economica ed incrementare i consumi; e nel lungo termine rappresenta anche un forte stimolo agli investimenti in questi luoghi, con un netto miglioramento della condizione dei territori stessi, che possono diventare attrattivi per i talenti italiani e stranieri, alla pari delle regioni o delle città più avanzate.
Le premesse sono incoraggianti ma occorre progettualità nei campi dell’istruzione, della sanità, della connettività, dei trasporti, del Green New Deal.
In poche parole: servono concretezza e realismo per quella che sembra essere una nuova rivoluzione del lavoro post Covid.
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